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Nella prima parte dell’articolo, abbiamo descritto brevemente il ruolo e le funzioni principali del Fegato, focalizzando più la nostra attenzione sul pensiero degli Antichi e dunque delle medicine tradizionali. I due differenti paradigmi, quello moderno semplicistico e convenzionale, che si concentra più nello spegnere il sintomo e quello tradizionale, che ha invece una visione elaborata e sistemica, cercando di arrivare a capire la causa profonda della malattia, possono comunque benissimo cooperare, soprattutto quando si tratta di rimedi naturali, come le piante officinali, i suoi derivati ed estratti.

Le piante officinali, citate sui testi antichi ed utilizzate da millenni, sono rimedi efficaci e sicuri, dove per sicuro però non vuol dire che dobbiamo abbassare la guardia, favorendone il fai da te, soprattutto se si sta già facendo una terapia farmacologica, dove anche il tempo balsamico della pianta, la qualità e la titolazione degli estratti vegetali sono fondamentali, ai fini di un’azione terapeutica, che deve essere dunque consigliata da un esperto. E’ di continuo interesse oggi, per la comunità scientifica pubblicare studi e revisioni riguardanti la fitoterapia, aggiornando o spesso confermando il sapere empirico medico preindustriale. Cambia il linguaggio ma non la sostanza.

I rimedi naturali del Fegato, li abbiamo chiamati simpaticamente Moschettieri, per l’importante ruolo di protezione che svolgono a favore di quest’organo e per il mantenimento della sua fisiologia e delle funzioni fondamentali. Le piante medicinali attive sul fegato possiamo classificarle principalmente in:

  • piante ad azione protettiva, antiossidante e detossificante
  • piante ad azione coleretica
  • piante ad azione colagoga
  • piante ad azione preventiva e attiva sui calcoli biliari

Le piante ad azione protettiva agiscono migliorando la funzione e il metabolismo delle cellule epatiche, normalizzando e proteggendo le sue membrane cellulari, facilitandone con l’azione detossificante, l’eliminazione di composti tossici accumulati e prevenendo o rigenerando  il tessuto cellulare epatico danneggiato, grazie alla loro azione antiossidante.

Le piante ad azione coleretica hanno il compito di aumentare la secrezione della bile, stimolando le cellule epatiche a produrre una maggiore quantità di bile. Sono indicate per fluidificare e drenare la bile, nei casi di stasi, nelle affezioni delle vie biliari e presenza di piccoli calcoli. Si raccomanda la somministrazione di queste piante solo se le cellule epatiche sono sane, integre e funzionanti.

Le piante ad azione colagoga, invece, accelerano il deflusso della bile dalle cellule epatiche alla cistifellea, dove essa si trova, e da questa al duodeno, ove viene utilizzata per digerire i grassi. La bile ha il compito di esterificare ed emulsionare i grassi alimentari, rendendoli digeribili. Le piante colagoghe favoriscono dunque lo svuotamento della cistifellea, contraendola, ossia eccitando la sua muscolatura liscia. Sono indicate nelle problematiche legate alla digestione lenta e difficoltosa, in caso di sonnolenza postprandiale e nelle coliche di origine epatica.

Tutte queste proprietà per il benessere e la salute del Fegato, possiamo in sintesi trovarle all’interno delle seguenti piante officinali che abbiamo selezionato per voi tra quelle più utilizzate ed efficaci:

Cynara Scolymus: il Carciofo è una pianta della famiglia delle Compositae, erbacea perenne, formata da un grosso rizoma e da un fusto eretto percorso da scanalature, Le foglie sono lunghe, ruvide e lobate, di colore verde-grigio e disposte alla base.  Scartate in cucina, rappresentano invece le parti utilizzate nella fitoterapia. Il suo nome Cynara, nasce come cinara, ovvero cenere, perchè era una pianta concimata con la cenere. Scolymus deriva dal greco, indicando una sorta di cardo commestibile. Il nome volgare “carciofo” deriva dall’arabo kerschouf.

E’ definito caldo e secco per Dioscoride e Galeno, anche Castore Durante ne parlava, sottolineando le sue proprietà depurative e digestive, dove in tempi recenti, troviamo conferma dell’efficacia del Carciofo nelle affezioni epatobiliari per la sua azione coleretica e colagoga. La droga della pianta è presente nelle foglie, che contengono nel suo fitocomplesso, i seguenti principi attivi: acidi fenolici, flavonoidi, lattoni sesquiterpeni, fitosteroli, acidi organici, polisaccaridi, tannini e vitamine B1 e B2. Gli acidi fenolici e i flavonoidi sono responsabili principalmente dell’attività coleretica, diuretica e anche ipocolesterolemizzante. La Cinarina e l’acido caffeico (acidi fenolici), a un livello minore, hanno anche mostrato un’azione epatoprotettiva ed antiossidante. Diversi studi clinici hanno anche rilevato l’efficacia del Carciofo come antidispeptico. In particolare, risulta essere efficace nel ridurre dolori addominali, vomito, meteorismo e nausea.

Il dosaggio consigliato e le sue preparazioni principali sono le seguenti:

  • idrolito 6g in 500 ml di acqua, infusione di 20 minuti
  • soluzione idroalcolica  30-40 gocce, in un pò d’acqua, 2-3 volte al dì
  • estratto secco  1-2 compresse da 300 mg (titolato al 4-6% in acido clorogenico) 3 volte al dì.

 

Sylibum Marianum: il Cardo Mariano è una pianta erbacea biennale della famiglia delle Compositae, presente nel bacino Mediterraneo, che cresce nei terreni incolti, rocciosi e aridi. E’ alta dai 50 ai 150 cm, le sue foglie sono verdi, lucide, carnose, e macchiate di bianco. I fiori sono posti sulla sommità dei rami e sono di color porpora circondati da squame spinose. I frutti invece, detti volgarmente semi, sono allungati e di colore scuro. In fitoterapia si utilizzano le foglie, raccolte tra Giugno e Luglio, prima della fioritura e i frutti tra Luglio e Agosto, dopo la fioritura. Silybum marianum ha origine dal greco, che significherebbe “cardo cadetto” e  da marianum, riferito a Maria. Sono diverse nella Medicina Tradizionale le piante che rimandano spesso simbolicamente alla tradizione sacra. Infatti nella credenza cristiana, le macchie bianche sulle foglie sarebbero testimonianza delle gocce del latte di Maria, che si rifugiò sotto la pianta di Cardo, durante la fuga in Egitto con Gesù. La Signatura delle foglie inoltre, lascerebbe intendere molto probabilmente, che siamo di fronte a una pianta galattogoga.

E’ una pianta calda e secca per Galeno, in virtù della sua capacità di tonificare il fegato. Segnalata da Teofrasto nel IV secolo a.C., da Plinio, da Dioscoride e indicata da Ildegarda di Bingen “nelle fitte pungenti al fegato e al cuore”. Viene ripresa dal Mattioli, che nel Cinquecento le attribuisce proprietà per curare le nevralgie e il mal di denti. Nel 1680, Nicholas Culpeper, medico, botanico ed astrologo britannico, la ritiene utile per “rimuovere le ostruzioni del fegato e della milza”. Il Cardo viene dimenticato per diversi secoli, per ricomparire nella metà dell’800 con l’Eclettismo, fino ad arrivare a giorni d’oggi, grazie agli studi cominciati a partire dal 1970, sulle proprietà dell’estratto fluido ad azione rigenerante sulle cellule epatiche, individuando nella silimarina il principio attivo più importante della pianta.

I principi attivi presenti nel fitocomplesso della pianta sono: Flavonolignani derivati dai flavonoidi, tra cui la silimarina e un composto di olio fisso, contenente acidi grassi polinsaturi, come acido linoleico, oleico e palmitico. Gli altri componenti sono Tira- mina; Istamina; Vitamine (C, E, K); Steroli e diverse Mucillagini.  E’ la pianta selettiva protettrice del Fegato, grazie soprattutto alla presenza di silimarina, il suo principio attivo più studiato che svolge un’importante azione antiossidante nei confronti delle membrane, evitandone la periossidazione lipidica e dunque il danno che influenzerebbe l’insorgere delle malattie, azione utile anche nei confronti dei doppi filamenti del DNA, prevenendo il danno irreparabile causato dai radicali liberi, che potrebbero favorire l’insorgere dell’ invecchiamento, apoptosi e cancro. Gli estratti standardizzati di silimarina, sono stati studiati per il trattamento di cirrosi ed epatite cronica indotte da alcol ed epatite acuta e cronica di origine virale, dove è stata dimostrata l’efficacia del fitocomplesso nella riduzione di vari marcatori espressivi della malattia. E’ una pianta ben tollerata, da usare con precauzione nell’ipertensione, trova dunque indicazioni principali nelle steatosi, epatopatie alcoliche o tossiche, epatiti croniche, dispepsie e come coadiuvante nelle cirrosi.

Il dosaggio consigliato e le sue preparazioni principali sono:

  • idrolito (frutti) 12-15 g in 500 ml di acqua bollente in decozione per 10 minuti
  • soluzione idroalcolica  50-100 gocce in un pò d’acqua, 2-3 volte al dì
  • Estratto secco 1-2 compresse da 300 mg 2-3 volte al dì, almeno 30 minuti prima dei pasti

 

Rosmarinus Officinalis: il Rosmarino è una pianta arbustiva perenne della famiglia delle Labiatae. E’ originaria del bacino mediterraneo e vegeta nei luoghi sabbiosi e sassosi nei pressi del mare. Oggi è coltivata ovunque a scopo prevalentemente ornamentale. L’Etimologia di Rosmarinus sembra avere diverse origini: secondo alcuni deriva dal latino ros-rosis che significa rugiada, ma nel senso di balsamo, secondo altri invece, rugiada marina, perchè la pianta che nasce spontanea vicino al mare, ne riceve i vapori che cadono appunto come rugiada. Il Rosmarino era definito dai Greci, il fiore per eccellenza e il suo profumo ricordava quello dell’Olibano (Boswellia). Serviva ad incoronare le statuette dei Lari, come ricorda Orazio: “i piccoli dei che tu coroni di rosmarino e di mirto.”

E’ una pianta calda e secca nel II grado per la Medicina Tradizionale Mediterranea, ammorbidisce, fluidifica, apre e rafforza. Le parti utilizzate in fitoterapia sono da sempre i tessuti adulti della pianta, foglie e i fiori, e di più moderna scoperta, i giovani getti invece come tessuto meristematico. Ambedue i fitocomplessi della pianta, seppur contenendo metaboliti differenti svolgono nell’organismo numerose attività importanti, anche simili; azione colescistocinetica, diuretica, nelle dispepsie, nelle stasi biliari, con una componente antiossidante ed epatorigenerante probabilmente più marcata nel gemmoderivato. Autori francesi hanno studiato in vivo nel ratto, le proprietà epatoprotettive e coleretiche del gemmoderivato di Rosmarinus Officinalis,confrontandolo con un preparato ottenuto dalle parti adulte della stessa pianta, viene confermato che l’azione del gemmoderivato è nettamente superiore rispetto alla pianta adulta. Lo stesso risultato a confronto, a favore del gemmoderivato, è stato rilevato da ulteriori studi in vitro finalizzati a dimostrarne un’importante attività anti-radicalica. Il gemmoderivato ha dunque notevoli proprietà antiossidanti, opponendosi alla formazione di radicali liberi e svolgendo dunque attività antinfiammatoria. Stimola la produzione di glutatione endogeno, contrasta la lipoperossidazione e provoca una significativa riduzione delle transaminasi e della latticodeidrogenesi epatica, indotte da sostanze tossiche. I giovani getti contengono molte delle sostanze presenti nelle foglie come acido rosmarinico, apigenina ed olio essenziale, con l’aggiunta però di acidi organici, aminoacidi, enzimi, vitamine, oligoelementi, biostimoline, metaboliti primari della pianta.

Il dosaggio consigliato e le sue preparazioni principali sono:

  • idrolito (foglie)  1 cucchiaino per tazza in infusione per 10 minuti
  • soluzione idroalcolica  30 gocce in un pò d’acqua, 2-3 volte al dì
  • gemmoderivato 1D  50 gocce in un pò d’acqua, 1-2 volte al di’

 

Taraxacum Officinale: il Tarassaco è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Compositae. Diffusa in tutto il mondo, in Italia è molto comune incontrarla nelle nostre passeggiate tra prati e campi, nei boschi, lungo le strade e i cortili. L’Etimologia greca del suo nome Taraxacum, sembra sia dato dagli Apotecari alla fine del Medioevo, secondo altri invece deriva dall’arabo tarakhchakon o tarakhchagoun, nome di una Cicoriacea. E’ conosciuta anche con il nome popolare Dente di Leone, per la somiglianza della dentellatura delle sue foglie con i denti del leone. Ne esistono parecchie varietà, ma quella prevalentemente utilizzata per scopi terapeutici resta il Taraxacum Officinale.

In fitoterapia si utilizzano prevalentemente le radici, parti sotterranee della pianta, che vengono raccolte in autunno. I componenti del suo fitocomplesso sono triterpeni, sesquiterpeni, flavonoidi, acidi fenolici, steroli, inulina, aminoacidi e sali minerali. I triterpeni in sinergia con i sesquiterpeni hanno proprietà colecistocinetiche, attivando la muscolatura liscia della cistifellea e modificando le caratteristiche chimico-fisiche della bile. I flavonoidi hanno azione diuretica e una discreta azione antinfiammatoria, proteggendo il tessuto connettivo dai radicali liberi. Negli usi popolari, il Tarassaco è una pianta conosciuta soprattutto come depurativo e blando lassativo sotto forma di tisane ed enoliti. La Farmacopea Tradizionale Cinese impiega il Taraxacum mongolicum prevalentemente come antinfiammatorio e antinfettivo. Le classiche applicazioni farmacologiche di questa pianta, vanno dalla depurazione e drenaggio epatorenale alle dermatosi associate a dismetabolia.

Il dosaggio consigliato e le sue preparazioni principali sono:

  • idrolito (radice) decotto 1-2 cucchiaini per tazza, portare brevemente ad ebollizione e lasciare riposare per 15 minuti
  • soluzione idroalcolica  30 gocce in un pò d’acqua, 2-3 volte al dì
  • estratto secco radice   titolato al 2% in inulina  2-4 capsule al dì

 

Prendiamoci dunque cura del nostro corpo e non solo, sapendo che possiamo contare su i quattro Moschettieri del Fegato, per affrontare una corretta depurazione primaverile, classica pratica del cambio di stagione.

A.F.

Bibliografia: 

“Principi di Fitoterapia Clinica Tradizionale, Energetica, Moderna” – Erus Sangiorgi, Emilio Minelli, Gabriela Cresini, Sandra Garzanti

“Piante Medicinali Chimica Farmacologia e Terapia” – R.Benigni, C.Capra, P.E.Cattorini

“Tinture Madri in Fitoterapia” – Massimo Rossi

 

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