Siamo nel mese di Dicembre e come si sa questo periodo di festività è connesso anche a un retaggio culturale di tipo religioso, ovviamente collegato al Natale. Le feste natalizie sono poi strettamente legate, soprattutto per noi italiani amanti dell’arte culinaria, al cibo, ai grandi pranzi, agli infiniti cenoni e alle tavole imbandite di qualsivoglia cibaria! Insomma tra panettoni, dolcetti, torroni, lasagne, cannelloni e ogni sorta di ricetta carica di tanta bontà e altrettante calorie, forse si corre il rischio di incorrere in un’alimentazione piuttosto sbilanciata, per poi affidarsi, solitamente dopo le feste, ad una drastica “dieta riparatrice”.
Inoltre dimentichiamo spesso le antiche origini di queste ricorrenze, che provengono da culture ancestrali molto antiche.
Ecco perché cercherò brevemente di ripercorrere le tradizioni di popoli che solitamente mettevano al centro di questo mese un aspetto legato sia ai digiuni e che al significato simbolico prevalentemente e strettamente connesso al Solstizio invernale.
Ad esempio in antichità, durante la vigilia di Natale, era previsto per la religione cattolica un vero e proprio digiuno completo.
Il digiuno e l’astinenza dalle carni sono pratiche che risalgono a tempi molto antichi e trovano applicazione nella costituzione apostolica Paenitemini creata dal Pontefice Paolo VI nel febbraio del 1966. Nella “Paenitemini”, Paolo VI limitò il precetto del digiuno solo al mercoledì delle ceneri e al venerdì santo, abolendo la norma di astinenza e digiuno nelle vigilie del Natale, della Pentecoste, dell’Assunta e di tutti i Santi prescritta in precedenza nel Codex Iuris Canonici del 1917 (can.1525).
Dunque, come descritto dall’estratto, era previsto un completo e totale digiuno prefestivo che fu poi sostituito successivamente con la sola assunzione del pesce al posto della carne.
Ma trasversalmente possiamo appurare la sincronicità delle varie e differenti culture. Infatti, ormai “Natale” è il nome più diffuso al mondo per riferirsi alla festività, prima pagana e poi cristiana, che si associa al solstizio d’inverno e ai miti legati a esso. Natale significa letteralmente “nascita”. La festività del Dies Natalis Solis Invicti (Giorno di nascita del Sole Invitto) veniva celebrata durante il solstizio d’inverno, il giorno meno luminoso dell’anno, poiché da quel giorno in poi le giornate sarebbero tornate ad allungarsi nuovamente, simboleggiando la rinascita del sole. Dal Giorno della nascita del Sole Invitto deriva appunto il Natale.
Per spaziare invece tra le le antiche culture orientali, sappiamo ad esempio che nella Cina si festeggia questa antica tradizione sempre in previsione del solstizio invernale, quindi attendendo con gioia e pazienza l’arrivo della primavera.
Il calendario tradizionale dell’Asia orientale divide l’anno in 24 “mesi solari” (節氣) Il Dōngzhì rappresenta il ventiduesimo e le sue origini risalgono a circa 2000 anni fa, legate all’antico concetto dello yin e yang, la filosofia dell’armonia universale caratteristica del taoismo. Il taoismo vede un aumento nei flussi di energie positive nelle giornate che tornano ad essere più luminose e lo rappresenta filosoficamente attraverso l’esagramma fù (復, “Ritorno”) del classico “I Ching”.
“In questo giorno la famiglia cinese si riunisce, proprio come per il Natale. La tradizione più diffusa è quella del sud della Cina, che prevede la preparazione dei tangyuan (湯圓 polpette di riso glutinoso). Possono essere bianche o colorate, vuote o ripiene, cotte in una zuppa o aromatizzate al vino di riso. Nel Nord della Cina sono invece i Jiaozi (ravioli cinesi) ad essere simbolo di “riunione”. Si dice che i ravioli cinesi siano stati inventati da Zhang Zhongjing, l’uomo passato alla storia come “il santo della medicina”, più di 1800 anni fa, sotto la Dinastia Han. Si racconta che Zhang vide dei poveri soffrire per i geloni alle orecchie, così decise di arrotolare in una pasta sottile un po’ di carne di agnello insieme a del peperoncino e delle erbe mediche riscaldanti, dandogli la forma di orecchie e bollendoli nell’acqua. Li distribuì tra le persone per impedire che le loro orecchie si congelassero, per tenerli caldi. Questo è il leggendario motivo per cui i Jiaozi hanno le forme di orecchie e si mangiano durante il freddo Dongzhi. Vennero perciò chiamati qùhán jiāoěr tāng (祛寒嬌耳湯 lett. zuppa di ravioli che espelle il freddo). Notiamo quindi che il connotato di “salute” e alimentazione medicinale, inteso come cura vera e propria, anche nell’antica Cina è insito nel Natale. Inoltre, come nota di curiosità, alcuni antichi culti cinesi richiedono che le persone con lo stesso cognome o appartenenti allo stesso clan si rechino a venerare i propri antenati proprio in questo giorno.
Risalendo in ultimo ad uno dei popoli più atavicamente connessi alla natura e al culto solare, ossia il popolo Norreno, il Natale veniva festeggiato anche fra di essi con l’appellativo di Yulefest, il solstizio d’inverno cadeva nel giorno in cui si festeggiava il padre degli dei, Odino, e il dio Freyr, dio del sole e della fertilità.
Yule è la variante inglese del norreno Jól e del tedesco Jul. L’etimologia della parola non è chiara. È diffusa l’idea che derivi dal norreno Hjól (“ruota”), con riferimento al fatto che, nel solstizio d’inverno, la “ruota dell’anno si trova al suo estremo inferiore e inizia a risalire”. I linguisti suggeriscono invece che Jól sia stata ereditata dalle lingue germaniche da un substrato linguistico pre-indoeuropeo. Nelle lingue scandinave, il termine Jul (danese e svedese) o Jól (islandese, faroese, e Jol in norvegese) ha entrambi i significati di “Yule” e di “Natale”, e viene talvolta usato anche per indicare altre festività di dicembre. Il termine si è diffuso anche nelle lingue finniche per indicare il Natale (in finlandese Joulu), sebbene tali lingue non siano di ceppo germanico.
Non si sa molto sulla festa di Yule nella tradizione nordeuropea. Nonostante vi siano numerosi riferimenti a Yule nelle saghe islandesi, vi si trovano solo pochi e parziali resoconti circa la natura delle celebrazioni. Si trattava comunque di un periodo di riposo e danze, che in Islanda continuò a essere celebrato per tutto il Medioevo, fino all’epoca della Riforma. Si sa anche che durante la festa avveniva il sacrificio di un maiale in onore del dio norreno Freyr, una tradizione che è rimasta nella cultura scandinava, in cui a Natale si consuma carne di maiale.
Abbiamo brevemente fatto riferimento a vari culti per denotare modi, seppur apparentemente diversi tra loro, in realtà molto simili di approcciarsi ad un giorno di “rinascita”, della luce, del sole, del venire alla vita, come la nostra cultura ci insegna con la nascita di Gesù, il Cristo, venuto alla luce in una notte in cui il sole ricomincia a splendere tra le stelle. La fase della preparazione a questo evento, consta di contemplazione, meditazione, introspezione e sana attenzione anche a ciò di cui ci si nutre, inteso come cibo, emozioni, parole, pensieri e azioni.
Dunque, dopo questo escursus tra le varie culture, denotato il fatto che forse ancora una volta i veri simboli e le vere tradizioni sono state offuscate di recente nel corso degli anni, data la vita odierna basata soprattutto sul consumismo e sull’opulenza (almeno in questa parte del mondo ), riflettiamo per una volta, soprattutto in questo periodo dell’anno, sul senso della vita, dei rituali arcani e della vera conquista dell’essere umano. La saggezza di un tempo, che ripercorre ogni passo, potrà esserci certamente di insegnamento se vorremo coglierne l’essenza più profonda e il misticismo vero, semplice e diretto. In un vero caldo pasto dopo il digiuno, come un sorso d’acqua dopo una lunga camminata e una sosta nell’afoso deserto, troveremo quell’accoglienza e quella consapevolezza che ci appartiene da sempre.
Federica Manca
laureata in scienze infermieristiche, master in medicine naturali all’Università di Tor Vergata, esperta di Medicina classica Cinese e Floriterapia